Si tratta di una buona occasione per mettere a frutto una condivisione di pensieri, immagini, emozioni, parole sul tema dell'identità e della diversità quali tratti peculiari della nostra stessa condizione planetaria di esseri umani terrestri.
Questo blog nasce in occasione della partecipazione del Liceo Scientifico Statale “G. Da Procida” (Salerno) alle Olimpiadi/Campionato di Filosofia XXII edizione 2013-14 organizzato dalla Società Filosofica Italiana.
Si tratta di una buona occasione per mettere a frutto una condivisione di pensieri, immagini, emozioni, parole sul tema dell'identità e della diversità quali tratti peculiari della nostra stessa condizione planetaria di esseri umani terrestri. Nel contesto delle prove di selezione a livello regionale delle Olimpiadi della filosofia 2014, ha ricevuto una menzione speciale, per il canale internazionale in lingua inglese, l'alunna Giulia Maria Ronca, iscritta al quarto anno presso il Liceo Scientifico "G. Da Procida" di Salerno. Qui di seguito, è possibile visionare un abstract in lingua del suo lavoro e l'elaborato in copia originale. ABSTRACT Identity and Diversity are an appealing pair often argued of. Identity is a concept related to sameness, but also to the identification of the personality of the individual. On the other hand, Diversity involves the idea of not being the same as another entity: it is directly connected with differences. People tend to be scared of what is different from their concept of Identity, although identity itself is unachievable, as it represents something not already known, maybe dangerous. However, in this world, where globalization has occurred, homogenization is spreading and taking the loss of the individual’s identity: this value is then searched, but at the same time Diversity seems to be the cause of the general unease. Whatever the problem appears to be, this is not the solution, as Diversity is a source of richness: it is the tension towards Identity that makes human beings improve, but it is through Diversity that this tension is experimented; otherwise mankind would be static. It was William Blake to assert that complementary opposites, like Identity and Diversity, lead to progress. Ecco alcune foto di momenti conviviali e culturali svoltisi durante le prove di selezione regionale per le Olimpiadi/Campionato di Filosofia 2013-2014, svoltesi ad Avellino il 15 marzo 2015 presso il Liceo Classico "P. Colletta". Un ringraziamento agli ospiti e agli organizzatori, in particolare al prof. G. Sasso referente S.F.I. di Avellino. Si tratta di un contributo relativo alla questione dell'interculturalità. Potete leggere o scaricare il file qui di seguito.
Si porta a conoscenza dei partecipanti al corso di preparazione alle Olimpiadi della Filosofia il seguente calendario degli appuntamenti:
11 febbraio 2014 ore 15:00 aula video 1 (chiedere in guardiola in caso di eventuali cambiamenti di luogo): · ultimo incontro prima dell’espletamento delle prove di selezione a livello di Istituto 18 febbraio 2014 ore 10:30-14:30 aula video 1 (chiedere in guardiola in caso di eventuali cambiamenti di luogo): · prove di selezione Olimpiadi della filosofia. Si precisa che l’ultimo incontro avrà come finalità una discussione aperta sui temi trattati nel corso e sugli argomenti che sono stati oggetto del blog: Abitanti del mondo tra identità e diversità. Ciascun candidato è invitato a leggere e discutere una propria relazione di massima, precedentemente svolta a casa, su quanto fin appreso (citando, se possibile, fonti, libri, filosofi e filosofie prese in considerazione), provando a simulare in qualche modo come intenderebbe svolgere un’ipotetica traccia. In questa occasione è opportuno specificare se si intende svolgere la traccia del saggio in italiano o in una delle lingue straniere previste dal bando di concorso. Colgo l’occasione per augurarvi un sereno e fecondo buon lavoro Prof. G. B. Rimentano Dimenticavo di segnalarvi questo libro: Z. Bauman, Intervista sull'identità, Laterza, Roma-Bari, 2009
Questo post nasce da una serie di riflessioni in risposta ad un commento (che vi invito a leggere, vedi post del 5/12/2014 sulla citazione di Hofstadter utilizzata da Remotti a conclusione del suo scritto) di Giada, una studentessa laureanda in filosofia presso l’Università di Firenze.
Colgo quindi l’occasione per dire che, pur condividendo molti aspetti espressi nello scritto di F.Remotti (vedi post iniziale del nostro blog), non sono del tutto d’accordo con la conclusiva liquidazione della questione dell’identità, che si basa sulla centralità e attualità della posizione humiana (l’identità personale come «fascio di impressioni» — che Remotti ripropone, giungendo a dissolvere l’identità all’interno di “fasci di relazioni” a geometria variabile), Consideriamo il punto di vista di Cartesio e Hume. Nella prospettiva cartesiana, l’identità del cogito tende a presentarsi come sguardo disincarnato, che deve faticare non poco a ritrovare i suoi nessi con la corporeità (la difficile coesistenza di res cogitans e res extensa, mente cosciente-pensante e corpo esteso). Nella prospettiva humiana, invece, il tentativo di derivare il pensiero dalla pentasensorialità ordinaria comporta una perdita dello sguardo dell’osservatore. Come dire, dopo aver letto la prima e la seconda Meditazione Metafisica, l’impressione che ne ricaviamo è quella di un mondo ridotto a rappresentazione teatrale dove l’unica certezza è quella dell’esistenza di uno spettatore (il soggetto), un osservatore che il cogito riduce a puro sguardo disincarnato. Ebbene con Hume non solo il mondo è teatro, ma è l’identità stessa dell’osservatore ad essere, né più né meno, che un «teatro di immagini». In altre parole, il processo di dissolvimento della “sostanzialità” del mondo e dell’identità di tutte le cose, è andato avanti. Il mondo è solo un insieme di sensazioni (o rappresentazione, direbbe Schopenhauer) collegabile allo sguardo di un osservatore che, al limite, non esiste (almeno non come sostanza stabile), in quanto la sua presunta identità altro non è che una collezione di immagini tenute insieme dall’immaginazione e dalla memoria. Cercando di andare oltre Cartesio e Hume, la filosofia occidentale ha provato a reagire recuperando la centralità dello sguardo dell’osservatore, evitando che la sua presenza si appiattisca sulla scena della sua visione. In tal senso, è possibile rileggere la funzione kantiana dell’“Io penso” sempre presente al centro della scena fenomenica dell’esperienza, o l’intenzionalità della coscienza quale base di partenza per ogni indagine filosofica praticabile in maniera “rigorosa”, secondo la prospettiva fenomenologica di Husserl. Quest’onda lunga equivale ad una risposta alla provocazione di Hume e a un ritorno a Cartesio (anche se in forme più sofisticate). Un invito, insomma, a non confondere lo sguardo dell’osservatore con la scena osservata, per non perdere di vista nessuno dei due, osservatore e osservato, soggetto e oggetto, ma soprattutto un invito a non fare del “soggetto osservatore” una “cosa”, in quando lo “sguardo” sul mondo che noi siamo non è un “oggetto” tra gli altri, per cui non va “sostanzializzato”, sarebbe un errore farlo (in ciò Kant e Husserl sono d’accordo e correggono l’idea di res cogitans di Cartesio, pur ritornando, in qualche modo, a Cartesio). Per cui, viene a cadere con questo la critica stessa fatta da Hume all’io inteso come cosa, come sostanza. Ma se torniamo alla questione dell’identità, il recupero della centralità dello sguardo osservatore non migliora di molto la situazione, per via della sua insostanziale, immateriale disincarnazione. Mi fermo qui, interrompendo un discorso, che seppure incompleto ci permette intanto di evidenziare quanto segue: - Nella storia della filosofia occidentale i concetti di “identità” e di “sostanza” appaiono spesso strettamente intrecciati tra loro. È inevitabile allora che il processo di desostanzializzazione ancora in atto (dell’io, del mondo, di tutto; insomma, la questione del virtuale) trascini con sé le due cose. Ne emerge un elogio della mutevolezza delle cose e del mutamento (Eraclito), che lascia tuttavia aperta la questione di ciò che permane nel mutamento (Aristotele). - Il recupero dell’identità come sguardo disincarnato (mente, anima, coscienza, psiche) spesso inciampa sulla questione della corporeità, non tenuta sempre in dovuto conto. Le strategie di risposta elaborate oscillano tra un monismo spesso riduzionista (riduzione della psiche a materia, o di tutto ciò che è materiale al mentale) e il dualismo, rischiando una rimozione completa del problema. - Altro modo di declinare la questione dell’identità è quello che si richiama al rapporto Uno-Molti, che mi limito qui ad accennare. È meglio parlare di identità al singolare o al plurale? Le cose non vanno diversamente se decliniamo la questione in chiave collettiva, parlando di identità nazionale, europea o altro, questione resa ancora più complessa nello scenario omologante della globalizzazione. Anche qui ritroviamo le stesse tendenze viste sopra. Si pensi, per esempio, all’ambiguità di fondo presente nell’idea di nazione elaborata tra il ‘700 e l’ ‘800. Per Herder, la nazione è una sostanza definibile a priori, in chiave genetica, un fatto naturale e organicistico che fonde in sé diversi individui in nome di un comune senso di appartenenza. Per Rousseau, invece, tale senso comune di appartenenza (il popolo, la nazione intesa come Moi commun) è un’ideale tutto da costruire, su basi democratico-consensuali, frutto di un «plebiscito quotidiano» (E. Renan). Insomma, la nazione è una sostanza a priori di cui non resta che prendere coscienza (Herder) o una costruzione a posteriori humianamente basata sull’abitudine consolidata di una comune esperienza condivisa (Rousseau)? Allo stesso modo è possibile osservare come spesso nella declinazione filosofica dell’identità in chiave collettiva si passa da una prima persona (l’Io) ad una terza persona spesso impersonale (lo Spirito oggettivo, direbbe Hegel), che tende a riprodurre le stesse dinamiche che abbiamo visto a proposito dell’Io come sguardo disincarnato sul/nel mondo. Qual è allora la mia proposta? Io direi, innanzitutto di distinguere tra identità e identificazione. Per cui preferirei parlare dell’ossessione dell’identitarismo, piuttosto che dell’ossessione dell’identità, come fa Remotti. Condivido pertanto le sue considerazioni critiche sulla retorica dei discorsi ideologici sull’identità, centrati sul bisogno-problema dell’identificazione “a tutti i costi”, sulla fissazione di un modello unico di noi stessi, degli altri, del mondo. Ma preferisco parlare di identitarismo. Per me, l’identità è un’altra cosa. In tal senso, l’identitarismo esprimerebbe un aspetto patologico dei processi base dell’identità (l’identità come processo aperto, non come sostanza chiusa e definita a priori), a descrivere i quali varrebbero mirabilmente le pagine del Ritratto di Dorian Gray di O. Wilde. Ma a voler considerare l’identità come enticità, l’identità come relazione primaria di noi stessi con noi stessi (il Sé) prima che con gli altri, gettata nella progettualità aperta del nostro Esserci (Heidegger), non penso che bastino da sole le considerazioni di Hume. Il problema vero consiste nell’allargare i nostri campi di osservazione, mentre Hume si limita alla sensorialità ordinaria dei cinque sensi, la cui apparente “naturalità” può nascondere molta più convenzionalità” di quanto sembri a prima vista (in tal senso, l’approccio fenomenologico di Husserl propone di mettere tra parentesi l’ovvietà dell’ “atteggiamento naturale”, per ritrovare quella rinnovata freschezza originaria di uno sguardo primario su noi stessi e sulle cose). L’«Io non è padrone a casa sua», sostiene Freud, inserendo la questione del Sé nelle complesse dinamiche dei rapporti psichici conscio-inconscio. Da qui discende per forza che l’Io è soltanto un «poema senza autore», come dice Hofstadter? Sebbene ciò sia talvolta vero, e dobbiamo tenerne conto, ritengo si debba considerare una situazione più complessa in cui assumiamo diversi ruoli in relazione a noi stessi e agli altri, ora come autori o registi, ora come protagonisti o come osservatori esterni in qualità di testimoni (talvolta queste posizioni accadono anche simultaneamente). In altre parole, sostenere che «l’Io non è padrone» significa sì assumere un atteggiamento prudente e ironico nei confronti dell’autoralità delle nostre azioni, ma non per forza dobbiamo rinunciarvi del tutto. Anziché un problema dovremmo abituarci a considerare ciò come una risorsa. Solo una crisi di nervi ci porta a cedere ad eccessive semplificazioni. La possibilità di queste diverse posizioni e metaposizioni di noi stessi in relazione a noi stessi e agli altri mostra la centralità delle relazioni intra- e inter-personali con gli altri, nelle quali nasce, si genera e trasmuta continuamente l’identità, il volto delle cose, segnate dalla propria storia e gravido di possibilità ancora inespresse. La prospettiva giusta è quindi quella dell’interpersonalità (ma anche dell’intrapersonalità), di cui anche le neuroscienze o le tecniche della PNL (programmazione neurolinguistica) tengono conto. Riconsideriamo allora la questione della relazione che ogni identità intrattiene con ogni altra identità. Al termine del suo scritto, Remotti ci propone l’immagine della rete. Il nodo non c’è prima della rete. Il collocarsi del nodo-identità è dato solo in virtù del suo essere punto di intersezione della rete. Ma non sono d’accordo nel considerare ogni nodo come un centro vuoto (così come sostiene Remotti), altrimenti la rete darebbe come prodotto finale zero, un omologante indifferenziazione uno-totalitaria, proprio come avviene negli attuali processi di globalizzazione in atto. Certo il nodo non c’è prima o a prescindere dalla rete, né è qualcosa di chiuso e definito una volta per sempre (sostanza a priori). Ma il nodo è pieno, non è vuoto. O meglio può sembrare vuoto solo perché sta sempre nascendo, è apertura originaria di possibili possibilità di infinite infinità. Remotti parla di «persona dividuale»: la divisibilità della persona dovrebbe essere posta a garanzia della sua apertura relazionale, al posto di una sua (presunta) univoca chiusura sostanziale. Ma se ogni nodo della rete vale zero, vi è il rischio che l’unica identità anonima che resta sia quella rete, e l’immagine dell’indivisibile rete indifferenziata è proprio l’esito di ogni relazionismo filosofico che muove da tali premesse come anche del pensiero a senso unico della globalizzazione. Affinché si giunga a considerare il nodo dell’identità aperto nella sua relazionalità, senza con ciò rinunciare alla sua enticità (ossia il suo non essere nulla), è quindi opportuno riconsiderare il carattere autorale di ogni centro da cui irradia ogni forma di vita. Questo significa vedere l’identità come possibilità del costituirsi di centri “autoriali” (per rispondere alla citazione finale che si richiama a Hofstadter). Si tratta di un’autoralità che s’accresce di sé (nel significato pregnante del verbo latino augeo, che indica l’idea di un crescere continuo), accrescendo di continuo anche quel poema cosmico attraverso cui prende corpo e tempo-narrazione l’esistente. Occorre quindi che in ogni parte dell’essere, ogni parte dell’essere (sia essa persona o gruppo, popolo-nazione o continente, creatura naturale anche non umana) coltivi una relazione intima con se stessa prima che con altro o altri, e in questa intima relazione scopri in chiave generativa la possibilità sempre aperta e vitale della propria identità come processo dinamico intra- e inter-personale. Vorrei richiamare alla vostra attenzione alcune tesi del celebre saggio di M. Heidegger, Identità e differenza (di cui vi allego copia che potete scaricare col file che ho trovato nella rete). Il tema dell'identità e della differenza assumono in questo saggio un significato a prima vista distante rispetto alle accezioni che abbiamo fin qui trattato. Ma val la pena prenderne in considerazione alcuni aspetti. Ma prima ancora qualche considerazione preliminare. Già nel Fedone (74a-76a), Platone aveva sostenuto che l'uguale in sé è un'idea che precede gli esempi concreti di cose che si possono dire uguali tra loro, in quanto, a rigore, sarebbe meglio parlare di cose simili, non potendo due cose essere in tutto e per tutto perfettamente uguali tra loro (proprio perché si tratta di due cose e non di una soltanto). Secoli dopo, Leibniz enuncia il principio degli indiscernibili, per il quale se due cose sono uguali in tutto e per tutto allora sono in effetti una cosa sola (Monadologia I, 9). E sull'insensatezza di una proposizione che afferma che due cose sono identitiche tra loro, ritorna anche il filosofo austriaco del Novecento L. Wittgenstein (Tractatus logico-philosophicus 5.5303). Ma ciò che vogliamo qui sostenere è che, al di là delle aporie enunciate nel principio di identità (A=A), l'identità (o se preferiamo, il Sé), più che un'uguaglianza formale indica la relazione primaria che ogni ente intrattiene in primo luogo con se stesso, prima che con altro o altri. Detto in altre parole, quale rapporto con se stesso (la propria identità) intrattiene dott. Jekill-e-Mr. Hide? Per il tribunale, interessato ad individuare il responsabile degli efferati omicidi, si tratta solo di stabilire l'uguaglianza tra le due persone (dott. Jekill = Mr. Hide). Ma lo "strano caso" della persona in questione indica qualcosa di più complesso, tocca da vicino la stretta relazione intrapersonale che quell'uomo intrattiene con se stesso e la sua interna dissociazione. Ma veniamo ad Heidegger. Anche per il filosofo tedesco il tema dell'identità non è interamente ricondubile alla mera uguaglianza formale enunciata nel celebre principio di identità (A=A). Per la seconda sono necessari due termini (A = A), per la prima ne basta uno soltanto (A è), «giacché» - scrive l'autore - «mentre nell’uguale la diversità svanisce, nello stesso la diversità appare» (M. Heidegger, Identità e differenza, 1957). «La formula A = A parla di uguaglianza. Essa non nomina la A come la stessa cosa. La formula corrente per il principio di identità nasconde in questo modo proprio ciò che il principio vorrebbe dire: A è A, ossia ogni A è essa stessa la stessa cosa»[1]. L’identità staglia la cosa stessa nella sua differenza come quella che può esservi tra la goccia d’acqua del mare nel mare dell’essere cui coappartiene (è il tema heideggeriano della “differenza ontologica” tra essere ed ente)[2]. L’uguaglianza fa sparire ciò che l’identità mostra, «ossia ogni A è essa stessa la stessa cosa». La questione centrale dell’identità è quindi la relazionalità. In primo luogo, si tratta della relazione intima che ogni A intrattiene con se stesso prima che con altri (o Altro). In questa relazione intima ogni ente coappartiene ad un campo più vasto, è in relazione con l’intero Essere. Si tratta di pensare il salto tra ente ed essere nella loro essenziale co-appartenenza (non è l’uno che fonda l’altro, ma la loro coessenziale relazione decide di entrambi). Ma un certo stile del pensiero ci fa ostacolo. È il pensiero rappresentazionale, la cui struttura linguistica è basata sulla coppia distinta e separata di Soggetto/Oggetto. L’intera modernità (modernità intesa non solo in termini storiografici, come età moderna, ma intesa in senso lato, come modalità dell’umano che tende a legittimare la propria assoluta centralità, ponendosi in una posizione di dominio rispetto agli altri enti), giunge così al trionfo della manipolazione tecnologica del mondo e dell’uomo ridotto a “cosa”, quale esito finale dell’oblio dell’Essere. Nessun ente realizza da solo l’intero Essere, eppure l’intero Essere trova espressione nei limiti del singolo ente. Questa la differenza nella coappartenenza. Non si tratta di pensare la differenza nel segno del pensiero pensato come per esempio in Platone (ogni cosa per essere se stessa non è un’altra cosa) o in Hegel (dire A = A significa, in realtà, ri-affermare A in relazione a non-A, dopo aver detto che posso pensare A solo in quanto vi è non-A, per cui pensare A significa riaffermarlo per la seconda volta dopo aver negato non-A, in quanto A è non non-A). Nei termini del pensiero rappresentazionale ci troviamo subito indotti a concepire la differenza come una relazione che il nostro rappresentare ha aggiunto sia all’essere che all’ente. È così che la differenza (Differenz) viene ridotta a una distinzione (Distinktion), cioè a un artificio del nostro intelletto (Heidegger). L’identità è un’intima relazione che ogni essere ha con se stesso (il sé), e in tale relazione scopre se stessa non solo in relazione ad altri (se stessi), ma prima ancora nella Differenza (ontologica) in relazione ad un’originaria coappartenenza all’Indivisibilità dell’Essere, un’indivisibilità nel segno della Differenza, ossia infinitamente ricca di infinite possibilità infinite, nel segno delle Diversità. Tutto ciò non va rappresentato (dal punto di vista di un Soggetto che op-pone e rap-presenta dinanzi a sé un Oggetto), ma va ascoltato nelle forme di una pratica meditativa di pensiero per la quale Heidegger parla di Gelassenheit (una modalità del nostro essere attenta e rilassata, ricettiva ma anche attivamente centrata). Se dovessimo esprimerci nel linguaggio della meccanica quantistica, potremmo parlare di un rapporto di coappartenenza tra particella e campo, che getta insieme identità e differenza (in un certo senso la particella è il campo nell’istante del collasso della funzione d’onda, ma si dà il salto quantico, per cui anche altre possibili configurazioni erano possibili. In tal senso, nessuna particella esaurisce le infinite possibilità del campo, anche se, ripetiamolo, in quell’istante il campo si dà nei limiti di quella particella). Tale coappartenenza di Identità-Differenza implica quindi il fattore tempo, il movimento, il movimento inteso in senso topologico, ossia non un movimento in uno spazio già dato, ma un movimento che dà luogo ad un luogo (come il darsi luogo del luogo che nella meccanica quantistica avviene in occasione del collasso della funzione d’onda, per cui con la particella si concreta l’intero campo in un certo istante). Pertanto, l’emergere della differenza ontologica (ente/essere, essere/ente; ente-essere, essere-ente) va approcciata nei termini dell’Ereignis (altre parole per indicarlo sono Evento, Logos, Tao), del nostro accadere, per cui eveniamo, in un mare di possibilità. ___ Nel corso del Novecento, il contributo heideggeriano al tema dell’identità è consistito nell’aver considerato l’identità per il suo carattere mediato, ponendo al centro della nozione la relazionalità, intesa innanzitutto come relazione che ogni ente ha con se stesso, relazione abitata dalla differenza, relazione di sintesi interna mai compiuta tra ente ed essere, in quanto nessun ente esaurisce completamente le infinite possibilità dell’essere, eppure l’essere si esprime per intero anche grazie a quel determinato ente. Successivamente, nel dibattito sociologico o politico-antropologico si è invece tornati ad esteriorizzare la nozione, come relazione plurale tra identità collettive ciascuna in sé autoconsistente, pensando alle identità come insiemi di sostanziati attributi costanti (culture, tradizioni, leggi ecc.), riconducendo il problema al tradizionale rapporto Uno-Molti (dove i Molti sono equivalenti a molti Uno). Habermas, per es., ha cercato di coniugare l’impostazione pluralistica con le istanze universalistiche (cfr. L’inclusione dell’altro). Di fronte alla domanda provocatoria: è possibile parlare di un’unica umanità? si è ricondotto il rapporto identità/differenza alla tensione Uno/Molti, passando così dalla Differenza pensata in chiave heideggeriana (rapporto intimo di coappartenza reciproca dell’ente all’essere, sia in chiave intrapersonale sia interpersonale) al sistema delle differenze inteso come insieme di relazioni esteriorizzate e fattuali tra diverse identità, sistema di differenze che comporta l’esplosione della pluralità delle identità (Molti Uno), sia in chiave intrapersonale che interpersonale. [1] «La formula più appropriata per il principio di identità, allora, A è A, non dice soltanto: ogni A è essa stessa se stessa, dice piuttosto: con se stessa ogni A è essa stessa se stessa. Nell'identità [Selbigkeit] risiede la relazione propria del “con”, dunque una mediazione, un collegamento, una sintesi: l'unione in direzione di un'unità. È per questo che l'identità nel corso della storia del pensiero occidentale appare con il carattere dell'unità. Questa unità, però, non è affatto l'inane vacuità di ciò che, in se stesso privo di relazioni, si irrigidisce ostinatamente in un'uniformità» (M. Heidegger, Identità e differenza). Ecco qui Heidegger tentare di pensare l’indivisibilità dell’essere in modo aperto come possibilità della diversità, sottraendo l’indivisibilità dal dominio dell’Uno totalitario omogeneo e indifferenziato. [2] «…la formula “A è A”. Che cosa cogliamo ascoltando? In questo “è” il principio dice il modo in cui l'essente è, ossia: esso stesso con se stesso lo stesso. Il principio di identità parla dell'essere dell'essente» (op.cit., ivi).
Ecco qui, alcune proposte per una piccola bibliografia ragionata sull’argomento (il suggerimento mi giunge dalla prof.ssa C. Cantillo, docente di Filosofia presso l’Università degli Studi di Salerno, membro del Consiglio direttivo della Società Filosofica Italiana, della Società Italiana degli Storici della Filosofia e della Consulta Filosofica)
Per una discussione critica del concetto di identità: A. Maalouf, L’identità, Bompiani, Milano 2005 Un saggio contro la follia di chi ogni giorno e in tutto il mondo, incita gli uomini a suicidarsi in nome della loro identità. Maalouf si rifiuta di contemplare questo massacro con fatalismo e rassegnazione. Il suo stesso destino di uomo d'Oriente e d'Occidente lo spinge a spiegare ai suoi contemporanei, con parole semplici e riferimenti diretti alla storia, alla filosofia e alla teologia, che si può restare fedeli ai propri valori senza sentirsi minacciati dai valori di cui gli altri sono portatori. Abbiamo poI i già citati (vedi il primo post del nostro blog): F. Remotti, Contro l'identità, Laterza, Roma-Bari 1996 F. Remotti, L'ossessione identitaria, Laterza, Roma-Bari 2010 F. Riva (a cura di), Il pensiero dell'altro, Edizioni Lavoro, Roma 2008. In particolare, sull’identità in relazione alla questione dell'altro si può partire dai testi di Levinas, Marcel e Ricoeur. Su questa linea l'ultimo numero della rivista Tropos (scaricabile dalla rete) con i contributi di P. Furia su Ricoeur e L. Cortella sulla formazione del sé. F. Bilancia, F.M. Di Sciullo e F. Rimoli (a cura di), Paura dell'altro. Identità occidentale e cittadinanza, Carocci, Roma 2008 V. Cesaro (a cura di), L'altro. Identità, dialogo e conflitto, Vita e pensiero, Milano 2004. R. Diana, Identità individuale e relazione intersoggettiva, Aracne, Roma 2013 Il libro offre interessanti spunti, richiamando alcuni aspetti ed autori relativi alla ricostruzione del dibattito sull'idea di identità, in particolare in riferimento alla problematica della interculturalità. Negli scritti raccolti in questo libro vengono discussi alcuni dei temi propri dell'attuale filosofia interculturale: la costruzione dell'identità individuale e i rischi di chiusura oppositiva che ciò comporta; la pluralità di tratti identitari che si stratificano nei singoli individui per effetto delle loro affiliazioni; la relazionalità e conflittualità con l'Altro nell'affermazione di se stessi e il problema del "riconoscimento". Nella seconda sezione, intitolata Questioni, i dispositivi concettuali predisposti nella prima sezione, vengono testati per dirimere alcuni nodi problematici che il contatto oggigiorno più ravvicinato fra espressioni di culture diverse rende sempre più "cruciali". Si ritrovano in questa parte del volume saggi sul ruolo delle Humanities nella costruzione di una società interculturale, sull'infibulazione e sulla West-Eastern Divan Orchestra, fondata da Daniel Barenboim ed Edward Said con l'intento di promuovere il processo di pace fra palestinesi e israeliani. Nella terza sezione, l'attenzione si sposta su alcuni esempi di quella pretesa universalistica tanto diffusa nei saperi della tradizione filosofica occidentale. T. Todorov, Noi e gli altri. La riflessione francese sulla diversità umana, Einaudi, Torino 1989 Questo libro nasce dalla storia personale di Todorov e dall'urgenza con cui avverte il problema etico, dal suo profondo bisogno di combattere l'isolamento e l'asetticità assunti talvolta dall'attività critica. Il tema del rapporto tra individui appartenenti a gruppi sociali culturali diversi era infatti centrale per l'autore, emigrato dalla Bulgaria, e per la Francia, paese che lo ospita dal 1963.Da qui dunque la decisione di proseguire e approfondire la ricerca iniziata con 'La conquista dell'America', analizzando la riflessione sulla diversità umana dei pensatori francesi dal XVIII al XX secolo, cioè di coloro che possono essere considerati in qualche modo precedenti effettivi e diretti dell'attuale cultura francese. Il taglio dato alla rassegna è comunque tematico e non storico. I temi individuati, le direttrici dell'indagine, divengono nodi intorno a cui costruire un dialogo tra gli autori prescelti. L'idea di fondo è proprio quella di mettere in dialogo posizioni diverse di singoli autori, autori diversi e infine Todorov stesso e gli autori da lui scelti. E Todorov, nella conclusione, tirando le fila del percorso svolto, indica la strada da seguire in quell'ideale di moderazione e razionalità che costituisce il nocciolo del suo 'umanesimo ben temperato'. Infine, è consigliabile consultare (soprattutto per gli aspetti didattici), la rivista telematica della SFI "Comunicazione filosofica", oltre che lo stesso Bollettino della società. Sta per giungervi la newsletter n.1 nella quale troverete il punto della situazione del nostro blog. Ne seguiranno altre ogni volta che un nuovo post verrà inserito. Sarebbe opportuno anche aprire e leggere i commenti nei quali è documentato l'interessante dibattito che ne è scaturito con gli studenti. Non mi resta che augurarvi buon anno e buon lavoro
Queste le tematiche che abbiamo affrontato nel nostro secondo incontro tenutosi il 13/12/2012 alle 10:30 in 3 F (dispiace che alcuni non abbiamo saputo o potuto prendervi parte. L'iscrizione alla newsletter era indispensabile). Queste slides andrebbero ovviamente commentate. Laddove qualcosa non è chiaro chiedete pure attraverso i vostri commenti, facendo in modo da esprimere prima la parte che vi sembra chiara e poi la domanda su ciò che non riuscite a comprendere. E' opportuno che teniate presente che nel vostro saggio finale dovete muovervi lungo i due estremi del rapporto identità-diversità: quello personale e quello collettivo. Al punto attuale in cui la nostra ricerca è giunta mi pare opportuno distinguere tra identità e identificazione (vi segnalo con particolare attenzione le pagine di Dilts e Gilligan sull'identità a tre livelli) e tener conto dello scenario attuale della globalizzazione con i suoi imprenscibili assunti economici di matrice neoliberista. Per il momento, non sono previsti altri incontri. Incontriamoci sul blog. Ma se dovesse essere necessario, sono disposto a farlo per fare il punto della situazione prima delle prove di selezione (sappiate però che non è previsto nessun credito scolastico aggiuntivo in termini di ore, né compenso economico per il sottoscritto (la crisi e le scelte economiche attuali prevedono anche questo!), per cui deve nascere da una forte motivazione da parte nostra. L'idea è che se proprio volete potete simulare lo svolgimento della traccia leggendomi oralmente le vostre elaborazioni e discutendole insieme. Frattanto, buona lettura!
Mi paiono interessanti queste pagine di Cesare Preve (recentemente scomparso), risalenti ai tempi del bombardamento del Kosovo (ex-Jugoslavia) negli anni '90, in quanto ci aiutano a distinguere, al di là delle facili retoriche (e con largo anticipo sui tempi), tra il fenomeno a senso unico della globalizzazione economica e i processi multiformi della mondializzazione. Globalizzazione = impoverimento delle diversità e aumento di interdipendenze e conflittualità Mondializzazione = arricchimento delle diversità, connessione e sviluppo di nuove possibilità di essere e convivere la condizione umana. Il problema sollevato da Preve è: mondializzazione ≠ globalizzazione
Pur trattandosi di materiali didattici preparati per la precedente Olimpiade, il cui tema era la cittadinanza (mappe concettuali, appunti, definizioni) potrete trarnerne degli spunti per ciò che concerne lo scenario mondiale attuale caratterizzato dalla prospettiva multietnica e dalla globalizzazione
Direi di dare inizio alle nostre associazioni mentali-emotive, per immagini. A partire dalle immagini iniziali che vi ho proposto nella home page del blog. Commentandole, al nostro primo incontro abbiamo già guadagnato questo punto importante della questione: pur muovendo da noi stessi, nella scoperta dell'identità personale, da subito identità e diversità si direbbero in relazione tra loro. E se tutto ciò, sia dentro che che fuori di me, mi mette in relazione con me stesso e con gli altri, allora non vi può essere discorso sull'identità senza discorso sulla diversità e ciò mi pone in una relazionalità, per cui abitare la nostra identità è già abitare il mondo. Per ogni immagine diciamo la nostra, seguendo liberamente il flusso di altre immagini, emozioni, pensieri. Il nostro compito potrebbe partire da qui.
Giusto per farvi un idea, ecco i temi che sono stati premiati nella precedente edizione delle Olimpiadi della filosofia (la tematica riguardava " I limiti della libertà"). Vi allego anche delle brevi sintesi degli interventi del Convegno della SFI tenutosi a Roma nel mese di ottobre (non tutto è attinente al nostro tema). Infine vi segnalo con un link le interviste ad alcuni partecipanti (Ferraris, Giorello...). Ecco il link: http://www.sfi.it/222/160/news/video-della-conversazione-su--la-domanda-civile-di-filosofia---xxxviii-congresso-della-sfi-.html Ed ecco i file (potete scaricarli a casa cliccandoci sopra)
Ecco, a me pare che quando parliamo della posizione di Hume sulla natura fittizia-fattizia dell'identità si debba tener conto del fatto che elementi di unità-identità e di diversità stanno sempre insieme (o meglio "abitano insieme", secondo la felice espressione di Melania Montuori (vedi commento al post: "La controversa questione dell'identità"). Si considerino, in proposito, le diverse posizioni di Hume e del filolosofo-psicologo americano W. James. Emerge intanto un altro nesso: identità rinvia ad unità? «Non riesco mai a sorprendere me stesso senza una percezione e a cogliervi altro che la percezione. Quando per qualche tempo le mie percezioni sono assenti, come nel sonno profondo, resto senza coscienza di me stesso, e si può dire che realmente, durante quel tempo, non esisto. E se tutte le mie percezioni fossero soppresse dalla morte, sì che non potessi più né pensare né sentire, né vede re, né amare, né odiare, e il mio corpo fosse dissolto, io sarei intera mente annientato, e non so che cosa si richieda di più per far di me una perfetta non-entità. Se qualcuno, dopo una seria e spregiudicata riflessione, crede di avere una nozione differente di se stesso, dichiaro che non posso seguitar a ragionare con lui. Tutt'al più gli potrei concedere che può aver ragione come l'ho io, che in questo punto siamo essenzialmente differenti: egli forse percepisce qualcosa di semplice e di continuo, che chiama se stesso, mentre io sostengo che in me un tale principio non esiste» (D. Hume, Trattato sulla natura umana, Libro I, Parte IV, sezione sesta, 1737) «Hume, tuttavia, dopo questo buon lavoro introspettivo, procede gettando il bambino insieme all'acqua sporca e si precipita verso una posizione estrema quanto quella dei filosofi sostanzialisti. Proprio come quelli affermano che il Sé non è altro che Unità, unità astratta e assoluta, così Hume afferma che esso non è altro che Diversità, diversità astratta e assoluta; mentre in verità esso è quella mistura di unità e diversità che noi stessi abbiamo già trovato assai facile criticare ... egli nega l'esistenza di questo tema di somiglianza di questo nucleo di identità che percorre le componenti del Sé, perfino come oggetto fenomenico» (W. James, Principi di psicologia, vol.1, 1890) Che ne pensate delle conclusioni di F. Remotti circa il modo di intendere l'identità? (5/12/2013)5/12/2013 «L’Io è come un poema senza autore che scrive se stesso».
Al termine del suo scritto (L’ossessione identitaria), F. Remotti fa sua questa affermazione di Hofstadter. Che ne pensate? Mi paiono tanti i temi e le direzioni seguite dall'autore sul tema dell'identità. Nel primo post vi invito di seguire tutte le piste seguite da Remotti, ma in questo nuovo post vorrei sapere un vostro parere su questo punto in particolare, visto che ad esso viene affidato il senso della conclusione dell'intero discorso, che pone come centrale e attuale la posizione di Hume sull'identità personale. Capite che nella mia posizione maieutica, come docente non voglio dirvi subito la mia per lasciare spazio ad altre considerazioni, le vostre, in primo luogo, che spesso rivelano al sottoscritto, prospettive alle quali neanche avevo pensato. Per questo pongo la questione come domanda. Se invece avete bisogno di continuare a seguire altre direzioni del vostro discorso riprendete con i commenti al primo post . Come primo spunto di riflessione, vorrei partire da questo scritto di F. Remotti, che mi pare interessante in quanto pone la questione dell'identità come problema e mito filosofico (scarica il file qui sotto o leggi direttamente on line usando i pulsanti per ingrandire/rimpicciolire o visualizzazione pagina intera)
Foto inviata da Alessia Lenza ([email protected]) |
AutorEProf. Giovanni Battista Rimentano ArchivIO
Novembre 2015
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