Registrazione audio della seconda lezione (14/11/2015) del prof. Raffaele Baldi.
S.Anselmo: dal Monologion al Proslogion
Schema della seconda lezione
Monologion/Proslogion. Scenario: uscita dal chiuso del monastero. XI-XII secolo. Non è più il mondo del chiostro, ma delle città
Tre questioni affrontate:
Alcuni studiosi di Anselmo: Bruno Nardi, Etienne Gilson, Ernesto Buonaiuti
Il metodo di Anselmo sulla scia di S. Agostino.
In Agostino, si fa uso della dialettica, ma senza equilibrio degli opposti e con soluzione tra le posizioni contrapposte. La dialettica è strumento del diavolo. Quella di Anselmo non è dialettica, ma meditazione interiore. In lui, la dialettica dà solo vivacità all’esposizione, non indica un conflitto tra due personalità. Preghiera e meditazione predominano nel testo anselmiano. Vuol parlare da abate ai suoi discepoli più che come filosofo o teologo.
Nel Monologion (M), Anselmo si rivolge a se stesso senza riferimento all’autorità delle sacre scritture.
Dio ha tutte le qualità di cui parlano le Scritture, ma non aveva dimostrato che erano tutte unite nell’Essere di Dio. L’esistenza necessaria delle qualità di Dio, ma tutto converge nell’unità dell’esistenza del suo essere (Proslogion) (P).
Nel Proslogion, Anselmo allenta la dipendenza da Agostino, staccandosi anche dal Monologion. Il monologo è una meditazione filosofica basata su Agostino; il Proslogion sale da una preghiera rivolta a Dio basandosi su un’esperienza filosofica più personale.
Il metodo del M. sarà seguito anche in seguito: in forma di meditazione mettere per iscritto l’essenza della divinità. Tutto deve scaturire da argomenti accessibili, non dall’autorità delle Scritture. Anselmo è moderno nell’esposizione delle fonti. Anselmo non ripete i pensieri degli altri se non perché li riscopriva da sé, partendo da sé. In sintesi il suo metodo: meditazione sulla sostanza della fede. Si parte dall’umile diminutio di sé per poi innalzarsi a Dio. La vertigine dell’autoreferenzialità è il rischio della vita del chiostro, della riflessione che passa da se stessi, dalla propria autocoscienza, con le sue immagini mentali del mondo esterno. Occorre umiltà per non chiudersi in se stesso, ma piuttosto raccogliersi in sé aprendosi a Dio, alla sua contemplazione. E’ un cammino di approssimazione che non giunge mai al termine.
Due problemi:
La meditazione è libera, offre entro certi limiti ampi spazi di libertà:
Indagatio: esplorazione introspettiva ma che poi ritrova l’autorevolezza delle fonti delle Scritture.
Quale rapporto fede-ragione? Per Anselmo, la fede non va difesa con la ragione, non ha come Agostino esperienze precedenti di incredulità (la polemica contro gli scettici). Per Anselmo è ragionare in una fede già salda. Pienezza di consapevolezza. Il M. è una guida per autodisciplinarsi in 3 fasi:
Insomma, la via del monaco.
Nel discorso si tratta di comprendere le parole, ma anche le cose che si intrecciano con le parole.
L’immagine di Dio immessa nella mente umana (l’illuminatio di S. Agostino) è deformata dal peccato originale, ma può ripristinato dalla purificazione, la preghiera, la meditazione. Ecco il nesso tra monachesimo e filosofia.
Spesso nella filosofia medievale il metodo è: i dati son quelli del dogma della Chiesa; i procedimenti sono quelli della retorica e della logica.
Le verità eterne saranno chiare solo nell’al di là. Al massimo si può preparare il terreno. La fede garantisce, la ragione chiarisce. La fede resta il prerequisito. Credere per comprendere.
Arriviamo al P., che ci offre l’immagine di un Anselmo filosofo più che teologo, per Gilson è opera scritta “in un momento di ardore filosofico”.
Come si presente l’argomento unico che Anselmo cerca? Al termine di una notte di veglia, riempiendolo di gioia.
Nelle Naturales questiones Seneca (il libro forse era presente nella biblioteca del monastero di Anselmo) aveva già parlato di un Dio come ciò di cui nulla di più grande può essere pensato.
L’argomento di Anselmo viene nel tempo confutato eppure risorge. Forse ha una fonte nascosta.
Per esempio, ciò che esiste fuori della mente è maggiore di ciò che esiste solo nella mente; ma stiamo parlando della stessa cosa? Cos’è questa relazione di maggiore o minore intensità?
S.Anselmo: dal Monologion al Proslogion
Schema della seconda lezione
Monologion/Proslogion. Scenario: uscita dal chiuso del monastero. XI-XII secolo. Non è più il mondo del chiostro, ma delle città
Tre questioni affrontate:
- Esperienza del sé
- Esperienza del mondo
- Controllo di sé
Alcuni studiosi di Anselmo: Bruno Nardi, Etienne Gilson, Ernesto Buonaiuti
Il metodo di Anselmo sulla scia di S. Agostino.
In Agostino, si fa uso della dialettica, ma senza equilibrio degli opposti e con soluzione tra le posizioni contrapposte. La dialettica è strumento del diavolo. Quella di Anselmo non è dialettica, ma meditazione interiore. In lui, la dialettica dà solo vivacità all’esposizione, non indica un conflitto tra due personalità. Preghiera e meditazione predominano nel testo anselmiano. Vuol parlare da abate ai suoi discepoli più che come filosofo o teologo.
Nel Monologion (M), Anselmo si rivolge a se stesso senza riferimento all’autorità delle sacre scritture.
Dio ha tutte le qualità di cui parlano le Scritture, ma non aveva dimostrato che erano tutte unite nell’Essere di Dio. L’esistenza necessaria delle qualità di Dio, ma tutto converge nell’unità dell’esistenza del suo essere (Proslogion) (P).
Nel Proslogion, Anselmo allenta la dipendenza da Agostino, staccandosi anche dal Monologion. Il monologo è una meditazione filosofica basata su Agostino; il Proslogion sale da una preghiera rivolta a Dio basandosi su un’esperienza filosofica più personale.
Il metodo del M. sarà seguito anche in seguito: in forma di meditazione mettere per iscritto l’essenza della divinità. Tutto deve scaturire da argomenti accessibili, non dall’autorità delle Scritture. Anselmo è moderno nell’esposizione delle fonti. Anselmo non ripete i pensieri degli altri se non perché li riscopriva da sé, partendo da sé. In sintesi il suo metodo: meditazione sulla sostanza della fede. Si parte dall’umile diminutio di sé per poi innalzarsi a Dio. La vertigine dell’autoreferenzialità è il rischio della vita del chiostro, della riflessione che passa da se stessi, dalla propria autocoscienza, con le sue immagini mentali del mondo esterno. Occorre umiltà per non chiudersi in se stesso, ma piuttosto raccogliersi in sé aprendosi a Dio, alla sua contemplazione. E’ un cammino di approssimazione che non giunge mai al termine.
Due problemi:
- la relazione tra meditazione e ragionamento
- la relazione tra meditazioni e le affermazioni autorevoli della Chiesa (l’ortodossia centralizzata contro le eresie si era stabilizzata anche nei monasteri)
La meditazione è libera, offre entro certi limiti ampi spazi di libertà:
- essa avviene nella mente e dai sensi e dell’autocoscienza.
- Meditazione controllata con rigore logico
Indagatio: esplorazione introspettiva ma che poi ritrova l’autorevolezza delle fonti delle Scritture.
Quale rapporto fede-ragione? Per Anselmo, la fede non va difesa con la ragione, non ha come Agostino esperienze precedenti di incredulità (la polemica contro gli scettici). Per Anselmo è ragionare in una fede già salda. Pienezza di consapevolezza. Il M. è una guida per autodisciplinarsi in 3 fasi:
- adesione alla fede ricevuta nel battesimo
- pensare a lungo e attentamente
- vivacità mentale che segue alla rinuncia ai desideri del mondo
Insomma, la via del monaco.
Nel discorso si tratta di comprendere le parole, ma anche le cose che si intrecciano con le parole.
L’immagine di Dio immessa nella mente umana (l’illuminatio di S. Agostino) è deformata dal peccato originale, ma può ripristinato dalla purificazione, la preghiera, la meditazione. Ecco il nesso tra monachesimo e filosofia.
Spesso nella filosofia medievale il metodo è: i dati son quelli del dogma della Chiesa; i procedimenti sono quelli della retorica e della logica.
Le verità eterne saranno chiare solo nell’al di là. Al massimo si può preparare il terreno. La fede garantisce, la ragione chiarisce. La fede resta il prerequisito. Credere per comprendere.
Arriviamo al P., che ci offre l’immagine di un Anselmo filosofo più che teologo, per Gilson è opera scritta “in un momento di ardore filosofico”.
Come si presente l’argomento unico che Anselmo cerca? Al termine di una notte di veglia, riempiendolo di gioia.
Nelle Naturales questiones Seneca (il libro forse era presente nella biblioteca del monastero di Anselmo) aveva già parlato di un Dio come ciò di cui nulla di più grande può essere pensato.
L’argomento di Anselmo viene nel tempo confutato eppure risorge. Forse ha una fonte nascosta.
Per esempio, ciò che esiste fuori della mente è maggiore di ciò che esiste solo nella mente; ma stiamo parlando della stessa cosa? Cos’è questa relazione di maggiore o minore intensità?